Alcune testimonianze degli amici:

Solo tre giorni di lavoro; eravamo in 9 amici e tutti efficienti e motivati.
Ma partiamo dalla fine:
La fine del turno di lavoro è stato un abbraccio, personale, non solo di ringraziamento per il lavoro come di solito e giustamente accade ma un abbraccio in cui si percepisce la presenza di colui che rende possibile questo abbraccio e che in questo abbraccio apre all’infinito. Ho visto gli occhi della Madre Emanuela mentre si avvicinava e ho capito lo spessore di quel gesto.
“Non si può amare un uomo se non si brama Dio se no l’abbraccio soffoca”
Dio si è incarnato, è diventato uomo così da potermi abbracciare.

L’esperienza di questo turno:
Gli amici – la preghiera – la chiesa – il lavoro.

1) Ringrazio Gesù per la compagnia che mi ha fatto incontrare. Oggi mi sento perfettamente descritto dalla lettura scelta da Pisoni sulla compagnia.
Non è stato l’incontro di quella volta ma ogni volta si rinnova quell’incontro. Se non ci fosse questo luogo “presenza che è radice continua” , “compagnia vocazionale”, non si potrebbe immaginare nessun gesto, nessun passo, nessun lavoro, nessuna presa di coscienza, nessun sostegno, correzione, sollecitazione.
Siamo stati messi insieme, senza meriti; siamo dono gli uni agli altri.
In questa breve convivenza non sono emersi grandi discorsi; gli spazi di dialogo sono stati anche pochi, ma è bastato. Durante il lavoro, durante la preghiera ho cercato spesso, con la coda dell’occhio, la presenza degli amici e guardandoli riacquistavo la posizione corretta, L’importante non è non sbagliare o non distrarsi. Quello che conta è ripartire. Ci possono essere persone che sanno ripartire da sole, ma sono poche e sante. Io ho bisogno di voi.

2) Con alcuni amici abbiamo partecipato alla preghiera delle monache fin dal primo mattino.
Mi mettevo in una posizione da dove potevo vedere di scorcio alcune di loro. Sei monache, alcune molto anziane altre malandate; i canti non erano belli e la corale delle lodi non entusiasmante. Impressionante traspariva invece la loro fedeltà. Sono lì da 50 anni, entrate in monastero a 25 anni nel fior fiore della giovinezza, hanno rinunciato a tutto: hanno conquistato tutto.
E’ stato immediato il paragone con la mia persona. Cosa ho da offrire se non la mia povertà, inconsistenza, incoscienza, distrazione.
Guardando verso il coro ho capito che le monache stavano offrendo la loro libertà lodavano Dio e lo benedicevano, cioè Lo affermavano; lo testimoniavano come presente fra noi.
Io ero lì con loro.

3) La chiesetta ha, come consuetudine, l’abside rivolto ad est; sul lato sud, in linea con l’altare e contrapposto al coro delle monache, due grosse vetrate che guardano la valle, quindi il mare, il golfo del Tigullio con in fondo il promontorio di Portofino. Un panorama stupendo, da cartolina.
Fra le due vetrate è posto il Tabernacolo
Alzando lo sguardo vedi di colpo in un solo istante il Creatore con l’immensa bellezza e segno visibile della sua presenza: il creato.
Se la fede vacilla come sempre e il dubbio prevale, la realtà del mattino ti mette di fronte i punti di riferimento. Basta stare in silenzio, guardare e ascoltare:
E’ una evidenza: la mia meschinità, gli amici intorno a me, la libertà e fedeltà delle monache, la lode al Signore vivo e presente in tutto e in tutti, il segno della sua presenza nella bellezza del creato.

4) Si va a lavorare con due obiettivi:
Primo: un chiostro tutto in legno da carteggiare, aggiustare nelle parti degradate da trattare con impregnante poi da verniciare montare e rifinire.
Secondo: un gran pezzo di sottobosco con erba da tagliare.
Quattro decespugliatori rompono per due giorni il silenzio della valle: si finisce in anticipo e c’è il tempo per la pulizia delle grondaie già piene di foglie.
I quattro uomini si aggiungono ai verniciatori e nove persone l’ultimo giorno verniciano il chiostro.
Una grande squadra. Una macchina da guerra.
Questo è quello che appare ma il cuore è un altro, più pieno
Per quanto sia stato inconscio agli inizi della nostra amicizia, abbiamo imparato ed ora è diventato esperienza che il lavorare è l’espressione di quello che siamo: determinati e costituiti da tutta la meraviglia dell’incontro che ogni volta ed ogni giorno rinnoviamo partendo dalla nostra amicizia dalla preghiera che le monache ci aiutano a condurre, dal silenzio di fronte alla bellezza, così che la banalità del nostro lavoro aggiunge sempre una piccola scheggia alla cura di tutto ciò che è stato fatto per rendere più visibile e affascinante la sua presenza.
CARLO BOFFI

“Compagnia che dà consistenza alla vita. Uomini chiamati insieme dal Suo Spirito. Se viviamo così vediamo fiorire in noi la letizia” (da messaggio odierno di don Ambrogio 2 ottobre) Grazie. E’ quello che abbiamo visto tra di noi nei giorni trascorsi insieme a Montallegro nell’aiuto reciproco, nella compagnia, fraterna e nella preghiera in comunione con le suore. Ciao. La nostra amicizia mi conforta e mi sorregge.
Claudio Frigerio

Montallegro di Rapallo

 

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