Pubblichiamo questo articolo che parla degli amici di Betlemme che abbiamo incontrato in questi ultimi 10 anni e con i quali condividiamo questa esperienza. Inoltre sottolineiamo che l’associazione R. Gelmini è partner del progetto STAR-T citato nell’ articolo.

Si può dire “pace a voi” anche quando c’è una guerra?

Così attorno a un mosaico e a una sua riproposizione contemporanea a Betlemme sono nati un’associazione e un movimento di popolo che stanno ridando speranza alle comunità cristiane palestinesi e proiettando luce su tutte le popolazioni della Terra Santa

In uno dei transetti della Basilica della Natività a Betlemme, fra i 130 metri quadrati di mosaici parietali recuperati sui 2.000 originari grazie a un prodigioso lavoro di restauro tutto italiano, ce n’è uno che ritrae la seconda apparizione di Gesù nel cenacolo, quella in cui l’apostolo Tommaso mette la mano nella ferita del costato. Gli apostoli mostrano espressioni fra il triste e lo spaventato. Nessuno di loro appare aureolato. Tuttavia l’ingresso della porta sprangata che Cristo ha attraversato è sormontata dalla scritta “Pax Vobis”, che è la traduzione latina del saluto che Gesù rivolge agli apostoli ogni volta che appare loro dopo la resurrezione.

Il mosaico di Betlemme e il quadro di Vignazia

Il mosaico infatti è stato realizzato a metà del XII secolo, al tempo del regno crociato di Gerusalemme, commissionato dall’imperatore di Bisanzio Manuele Comneno, dal re di Gerusalemme Amalrico I e dal vescovo latino di Betlemme Raoul. Come tutti gli altri, dopo secoli di degrado, trascuratezza e danneggiamenti, è tornato visibile grazie al certosino lavoro di restauro condotto fra il 2013 e il 2020 dalla ditta Piacenti, grazie a finanziamenti provenienti soprattutto da Italia, Francia, Ungheria, Santa Sede, Russia, Spagna, Grecia, Polonia e Autorità nazionale palestinese. Ebbene, durante la Quaresima del 2024 attorno a questo mosaico e a una sua riproposizione in chiave contemporanea in un dipinto dell’artista forlivese Franco Vignazia è nato un movimento di popolo, un apostolato, un’associazione che è piuttosto un’opera, che stanno ridando speranza alle comunità cristiane palestinesi e proiettando luce su tutte le popolazioni della Terra Santa.

Quei cristiani palestinesi terrorizzati

La storia comincia nel febbraio scorso, quando Ettore Soranzo, ingegnere che al servizio della Custodia di Terra Santa ha trascorso 22 anni della sua vita fra Nazareth, Gerusalemme e Betlemme, decide di tornare sul posto per rincuorare gli amici cristiani palestinesi terrorizzati da tutto quello che sta succedendo a seguito dei fatti del 7 ottobre 2023. La coraggiosa e benintenzionata missione non si conclude nel migliore dei modi: «Non sono riuscito a dire praticamente nulla. Ero tramortito dal loro dolore e dalla loro paura. Li ho ascoltati con partecipazione, ma non ho potuto offrire loro una speranza», racconta Soranzo. «Mi sono confrontato con l’amico Enrico Tiozzo, che non era per nulla rassegnato al mio mutismo: ‘‘Devi dirgli quello che il loro cuore attende e desidera. Devi dirgli ‘donna, non piangere’’’. Niente da fare. Ero bloccato».

Tiozzo è il fondatore della rete nazionale di realtà sociali Santa Caterina da Siena e di un’omonima confraternita, che operano anche in Terra Santa con vari progetti. Al ritorno di Soranzo i due fanno insieme memoria di quello che hanno contemplato nella Basilica della Natività restaurata. Nel mosaico con Tommaso e la scritta Pax Vobis scoprono il segno che rinnova la speranza in chi lo guardi con gli occhi della fede. Chiedono all’amico pittore Vignazia di dipingere un Gesù che entra nel cenacolo e incontra apostoli e discepoli che hanno il volto dei loro amici cristiani betlemiti: Hiba, Wafa, Suzy, Lina, Jeries, ecc.

“Pace a voi!”

Dal quadro ricavano 300 stampe double face 60 cm per 20, recanti sotto all’immagine il testo in italiano e in inglese di Giovanni 20, 19-23: «La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: ‘‘Pace a voi!’’. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono a vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: ‘‘Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi’’. Detto questo soffiò e disse loro: ‘‘Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati, a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati’’».

È il brano che precede quello dell’incontro con Tommaso. «L’analogia fra la paura e la tristezza degli apostoli ritratti nel mosaico, timorosi della reazione dei Giudei, e la condizione odierna dei cristiani betlemiti balza agli occhi», spiega Tiozzo. «Ma Gesù dice: ‘‘Pace a voi!’’. Questo significa che è possibile vivere nella pace anche nel mezzo di una guerra. Anzi: Cristo ci chiede di uscire e di perdonare, ci chiede di portare la sua pace a tutti!».

«Dovevamo raccontarlo a tutta la Palestina»

Nel mese di marzo, mentre il conflitto a Gaza infuria, i due italiani scendono nuovamente e portano in dono agli amici di Betlemme i 300 poster. Quello che segue è al di là di ogni immaginazione. Jeries è un alto dirigente del ministero del Turismo e dell’Archeologia dell’Autorità nazionale palestinese:

«I nostri amici italiani sono venuti con un grande dono: ci hanno aperto gli occhi su una cosa che credevamo di conoscere e che invece non avevamo capito. Ci hanno fatto ricordare che Gesù dà la pace, che dopo il buio torna la luce, che Cristo dice ‘‘pace a voi’’ anche quando c’è una guerra. Hanno fatto rinascere il coraggio in noi. Il loro coraggio che ci ha aperto gli occhi sul messaggio di Dio ci ha messi in movimento: la storia non doveva finire lì, dovevamo raccontarla in tutta la Palestina, anzi dovevamo raccontarla in tutto il mondo! Abbiamo voluto incontrare gli scout (che sono la più grande realtà organizzativa della società civile nel mondo palestinese, e Jeries è presidente degli scout di Beit Sahour – ndr), gli studenti delle scuole e quelli universitari, gli anziani delle case di riposo. A tutti abbiamo voluto annunciare che la pace era già e sarà ancora con noi! Quest’anno a causa della guerra la Chiesa greco-ortodossa, di cui faccio parte, non ha festeggiato come si fa di solito la Pasqua; si è deciso di fare, oltre al momento liturgico, solo una serata di canti. Io dovevo introdurre il concerto, c’erano mille persone presenti e altre 50 mila in collegamento. Ho colto l’occasione per proporre a tutti il messaggio del mosaico della Basilica della Natività. Poi io stesso ho scritto un libretto in arabo da distribuire a tutte le associazioni».

La sparatoria e la pace

Wafa, moglie di Jeries, è assistente sociale presso il Caritas Baby Hospital di Betlemme e ora è anche la presidente di Living Stones, l’associazione che si è formata in conseguenza degli incontri di diffusione del messaggio del mosaico della basilica e del dipinto di Franco Vignazia.

«Prima di vedere e ricevere in dono le riproduzioni del quadro di Franco eravamo terrorizzati, molti di noi volevano emigrare, avevamo paura per i nostri figli (Wafa ha tre figlie – ndr). Dopo aver ascoltato Ettore ed Enrico abbiamo deciso di uscire a portare la luce agli altri, a condividere la storia che ci era stata raccontata. Abbiamo sfruttato un progetto già in essere finanziato da Regione Emilia-Romagna, Pro Terra Sancta e Confraternita Santa Caterina per stampare centinaia di grandi cartoline che riproducono per un verso il mosaico della Basilica della Natività, e per l’altro il quadro di Franco Vignazia. Le abbiamo distribuite nel corso dei nostri incontri con gli scout, gli ospiti delle case di riposo, gli studenti delle scuole e dell’università di Betlemme. Sono successe cose bellissime. La sera stessa di una presentazione agli scout più piccoli c’è stata una sparatoria. Il giorno dopo ho incontrato una ragazzina della serata che mi ha detto: ‘‘Wafa, ieri sera quando hanno cominciato a sparare io tenevo stretti fra le mani un’immagine di Gesù e un rosario, e intanto pensavo alle parole che tu ci avevi detto sulla pace di Cristo. La mia paura se n’è andata ed ero contenta!’’. All’ospizio Sant’Antonio c’era un omone che ci guardava in modo ostile per tutto il tempo della presentazione. Alla fine mi ha chiesto di avvicinarmi, e io con un po’ di timore mi sono approssimata a lui. ‘‘Io non sono veramente credente’’, mi ha detto, ‘‘ma dopo quello che ci hai raccontato oggi e conoscendo quello che state facendo devo un po’ ripensarci’’. La direttrice mi ha detto: ‘‘Non avevo mai visto i nostri anziani così attenti, e in particolare quel signore che ha voluto parlare con te: lui non dà mai retta a nessuno!’’».

Pietre vive

Ricaduta dell’apostolato del ‘‘Pace a voi!’’ è anche un elaborato di studenti di archeologia dell’Università di Betlemme sul monachesimo. Racconta Wafa: «Insieme a Daniela Massari, docente dell’università, abbiamo invitato una decina di studenti universitari di villaggi intorno a Betlemme, quasi tutti musulmani, a visitare il mosaico dentro alla basilica, spiegando il suo significato nello stesso modo in cui lo facevamo con tutti. Loro che hanno competenze strettamente storiche e archeologiche hanno cominciato a fare domande sulla persona di Gesù e su cosa fossero i monaci, perché Daniela li aveva portati a visitare i resti di un antico monastero nella zona del Campo della Stella. Alla fine si è deciso che facessero un elaborato audiovisuale sul monachesimo. Per facilitare la comunicazione si sono create due figure virtuali, quella del monaco Elias e quella del bambino Majd che gli fa tante domande». L’elaborato è diventato un podcast (in arabo, naturalmente) che si può ascoltare su Spotify.

«Tutti i progetti finiscono, ma questa cosa che stiamo facendo è più di un progetto e non deve finire», conclude Wafa. «Per questo abbiamo creato l’associazione Living Stones, che è stata ufficialmente riconosciuta e registrata dall’Autorità nazionale palestinese (fatto decisamente inusuale – ndr). Ma siamo molto più di un’associazione, siamo un’opera che intende rispondere alla sete di speranza e di parola di Dio che è in ogni essere umano. Che intende ricordare ai cristiani di Terra Santa che qui sono le loro radici e qui devono restare. Perché i pellegrini possano incontrare non solo le pietre dei luoghi santi, ma le pietre viventi che siamo noi cristiani di Terra Santa. Grazie all’aiuto dei nostri amici».